
VERBANIA – 11.05.2018 – “Giudice, non è un processo
al Country pediatrico”. Mentre il pm Sveva De Liguoro pone domande alla mamma di una piccola paziente, Marisa Zariani richiama l’attenzione del giudice Rosa Maria Fornelli. Come avvocato di Fabrizio Comaita, pediatra a giudizio per truffa aggravata, chiede che ci si attenga al capo d’imputazione. Lo fa anche il collega Marco Ferrero: “non stiamo procedendo per colpa medica”. Le loro opposizioni sono ricondotte alle regole del contradditorio. Ma sono anche, viste da un’altra prospettiva, avulsa dall’aula d’un tribunale, una riflessione sulla sanità locale e sulla politica sanitaria regionale e nazionale. Il “contorno” offre uno spaccato sugli ospedali e i loro servizi che emerge dalle testimonianze di un medico del Dea e di una collega pediatra che raccontano di problemi di turni e di competenze, dalle esperienze delle mamme che si lamentano delle cure ricevute dai propri figli, ma soprattutto dalle ammissioni dei dirigenti Asl sul personale numericamente insufficiente per mantenere il sistema. Il quadro che emerge è che il Country pediatrico domese, a prescindere dall’efficienza e dai costi, è necessario per tenere in vita il Dea laddove un reparto di Pediatria non c’è (è a Verbania, peraltro senza Neonatologia) e un Punto nascite con un numero di parti sotto il minimo di legge.
È la vecchia storia dei due mezzi ospedali e dell’ospedale unico (anche plurisede); di un dibattito in cui tanti hanno cambiato opinione a seconda del tornaconto elettorale; delle manifestazioni di piazza con le minacce dei sindaci di riconsegnare le fasce tricolori alla Regione; e di un certo campanilismo Ossola-Verbano mai sopito dai tempi della nascita della Provincia. È la storia, però, anche di quelle persone, bambini e non, che alla politica, in fondo, chiedono una sola cosa: che metta i soldi e il personale necessario per la miglior cura dei pazienti.


