VERBANIA – 03.03.2018 – Assolto perché il fatto non costituisce reato.
L’aver sostituito le serrature dell’appartamento di un’anziana di Gravellona Toce morta da poco perché convinto d’esserne l’erede legittimo non fu, né violenza privata, né invasione di edifici altrui. Questi erano i capi d’imputazione contestati a Fulvio Cerutti, 56enne di origine cusiana (oggi vive a Milano), tratto a processo a Verbania – e assolto dal giudice Rosa Maria Fornelli – per i fatti dell’estate 2015 legati alla dipartita della 94enne Angelina Campana. L’anziana spirò in ospedale lasciando dietro di sé una casa, un conto corrente e una scia di testamenti olografi, intestati ai nipoti, a un conoscente, e anche a Cerutti, il cui nome è assai conosciuto in provincia proprio per i due matrimoni con signore molto in là con gli anni – e agiate – contratti in passato. Negli anni ’80, quando era ventenne, sposò con una cerimonia sfarzosa raccontata anche dai giornali, l’85enne Pia Bianca Curioni, che lo lasciò vedovo e ricco. Nel 2000 pronunciò un altro sì in municipio a Omegna, rinverdendo i ricordi di un ventennio prima, quando, per le sue ascendenti nobiliari, venne ribattezzato il “marchesino”.
Le vicende di tre estati fa sono state molto meno eclatanti. Appreso dalla badante del decesso di Campana, pensionata conosciuta in città anche come cartomante e alla quale era legato da rapporto di amicizia, Cerutti il giorno stesso contattò la banca e una notaio di Omegna chiedendole consigli su come pubblicare il testamento in suo possesso, che lo nominava erede universale. Pensando che anche la nipote della defunta possedesse anch’ella uno scritto – le indagini hanno appurato che fosse molto “prolifica” di lasciti – chiese alla professionista di contattarla. L’appuntamento telefonico fu interlocutorio e la nipote, che vive a Milano, non si fece più sentire. Cerutti a quel punto decise di procedere rivendicando l’eredità e sostituendo le serrature della casa di Gravellona, circostanza segnalata all’autorità giudiziaria dall’erede.
Sul piano civile la vicenda s’è risolta con l’assegnazione dell’eredità alla nipote, che ha presentato l’ultimo, in ordine di tempo, testamento validamente sottoscritto. Su quello penale lo strascico è rimasto il processo per violenza privata.
Un processo che, stando al capo d’imputazione, s’è incentrato su un interrogativo: Cerutti ha agito illegittimamente (come sostiene la Procura), oppure in buona fede perché credeva di averne diritto (come ha replicato la difesa)?
In realtà nel dibattimento, ma soprattutto nella requisitoria del pubblico ministero Maria Traina, sono riaffiorati gli eventi del “marchesino”. La rappresentante dell’accusa, citando anche articoli di giornale dell’epoca che ha tentato di produrre ma che non sono stati ammessi come prove dal giudice, ha puntato molto sull’elemento psicologico di un uomo ritenuto un cacciatore di dote, che avvicinava le anziane per impossessarsi dei loro beni senza preoccuparsi di loro, e per il quale ha chiesto una severa condanna a tre anni.
L’imputato ha testimoniato raccontando che la conoscenza con la signora Campana era vecchia di decenni e che l’anziana le era stata vicino quando la mamma era stata ricoverata. Ha spiegato che sapeva esistessero numerosi testamenti ma pensava che il suo fosse l’ultimo e che quello della nipote fosse apocrifo, tanto che lo fece sottoporre a una perizia che ne contesta l’autenticità. “Non c’è stato nessun reato – ha rimarcato l’avvocato Guido Pitzalis –. Il mio assistito pensava di essere nel giusto e quando ha saputo che non gli spettava l’eredità ha rimesso a disposizione le chiavi”.


