
VERBANIA – 01.12.2017 – La giustizia ha in parte
fatto il suo corso e, con l’ultimo processo che si sta celebrando in questi mesi, la farà ancora. Ma, al di là delle responsabilità penali, il quadro che emerge dalla vicenda dei “furbetti del cartellino” di Villa San Remigio è la disorganizzazione degli uffici decentrati della Regione Piemonte e la – per così dire – ridotta attività (e, di conseguenza, produttività) di quegli impiegati. Già la prima udienza del procedimento a carico di Claudio Suman e Daniela Sana, gli unici due che hanno scelto il rito ordinario e il dibattimento pubblico, aveva visto i funzionari regionali ammettere sostanzialmente che l’attività fosse poco o nulla controllata. Il caso più eclatante è quello di Claudio Suman, autista di norma assegnato al vicepresidente Aldo Reschigna (in passato con Ettore Racchelli, Giuliana Manica, Massimo Giordano, Gilberto Pichetto Fratin) che nei giorni in cui non si trovava a Torino era assegnato a Villa San Remigio. Dove? Alla domanda neanche gli inquirenti hanno saputo dare una risposta, perché Suman non aveva una postazione fissa, un pc, un telefono fisso o una scrivania. Illuminante, in questo senso, la battuta con cui il giudice Raffaella Zappatini è intervenuta in sede di controinterrogatorio per frenare l’avvocato Riccardo Lanzo. Nel ricordare che i fatti da valutare sono le timbrature non corrispondenti alle presenze, gli ha espressamente detto: “avvocato, abbiamo capito che il suo cliente bivaccava nella villa…”.
Del resto anche il mese trascorso dalle Fiamme Gialle a osservare tramite telecamera nascosta le timbrature aveva rivelato una serie di anomalie più o meno evidenti, sintomo di un sistema che non funzionava e che poi è cambiato, non fosse altro perché tutti i dipendenti sono stati trasferiti al Tecnoparco, nella parte di immobile lasciata libera dalla Provincia.


