VERBANIA – 18.03.2018 – Quattordici anni di cause
e carte bollate per vedersi riconosciuta (con gli arretrati) l’indennità pensionistica dei lavoratori esposti all’amianto. Tanto ci è voluto a un ex operaio ossolano della Sisma di Villadossola per avere ragione della burocrazia e dell’Inps. Nel 2000, a 54 anni e dopo una vita trascorsa in fabbrica – sedici gli anni, dal 1971 al 1986, in cui ha operato nel reparto del laminatoio – maturò i diritti per ritirarsi dal lavoro ed andare in quiescenza. Quattro anni dopo, nel 2004, chiese all’Inps che gli fossero riconosciuti i benefici della legge sull’amianto varata nel 1992, in particolare l’adeguamento dell’assegno pensionistico ai parametri stabiliti per chi è stato esposto alle fibre cancerogene che, se inalate, hanno alta probabilità di provocare malattie tumorali. Il Comitato territoriale rispose negativamente sostenendo che l’istanza andava presentata prima del pensionamento e non dopo.
Da quel giorno l’ex operaio iniziò un “balletto” di ricorsi che l’ha portato sino ai primi mesi del 2018. Nel 2007 la sezione piemontese della Corte dei conti respinse il ricorso motivandolo con la mancanza della documentazione sull’esposizione all’amianto. Nel 2013 la sezione centrale della stessa Corte, nel giudizio d’Appello, ribaltando la tesi della carenza documentale, rispedì il fascicolo a Torino, che nel 2014 e nel 2015 ha dichiarato estinta la causa per un cavillo legale, i tempi troppo lunghi (oltre il consentito) con cui l’ex operaio aveva riassunto la causa. Nel 2017 è arrivato un nuovo pronunciamento romano che ha riaperto la causa, che a gennaio è stata discussa nuovamente a Torino, dove il pronunciamento è stato favorevole all’ossolano. A
ll’Inps è stato ordinato di corrispondergli tutte le indennità extra maturate, con gli interessi legali e la rivalutazione della somma. L’ente previdenziale dovrà anche sobbarcarsi 3.000 euro di spese legali sostenute dall’ex operaio, che per avere un giudizio (forse) definitivo ha impiegato ben 14 anni.


