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VERBANIA – 22.02.2018 – “Abbiamo battuto tutte le strad 

giuridicamente possibili e siamo arrivati fin qui: oltre non possiamo andare”. Se non fosse per il ruolo che rivestono – curatori del fallimento del gruppo Palese, un crac di 8 società da 200 milioni – e per l’imparzialità che devono osservare nel tutelare i creditori, la loro sarebbe una resa. Così questa sera, nel loro studio di Fondotoce, gli avvocati Matteo Sanvito e Riccardo Sappa, e il commercialista Alessandro Ambroso hanno annunciato alla ventina di promissari acquirenti del complesso residenziale “Intra alta” che due anni di trattativa con Veneto Banca per consentir loro di non perdere la casa pagata in anticipo (spesso anche quasi al 100%) sono naufragati. L’incontro, inconsueto nelle forme dati i ruoli, segue quella linea di condotta che, anche con lungimiranza, aveva intrapreso nel 2015 il tribunale di Verbania nel gestire il tracollo del gruppo Palese: tutelare non solo l’erario, le banche e i fornitori, ma anche le persone comuni inguaiate dal costruttore verbanese.

Il cuore del problema è il condominio “Intra Alta”, la palazzina costruita dalla società “La Vela” (una delle otto del gruppo) tra via XXIV Maggio e corso Cairoli a Intra, dirimpetto all’ex rimessa dell’Aspan. Palese concluse quell’operazione urbanistica a metà anni Duemila, concordando che una parte degli alloggi sarebbe stata di edilizia convenzionata, venduti cioè al pubblico con un prezzo calmierato concordato col Comune. In quell’epoca il mattone tirava, Palese era solido e tanti appartamenti furono venduti presto, o sulla carta o mentre si iniziava a lavorare. L’imprenditore incassò caparre che andavano dal 5% al 90% del valore dell’appartamento. Chi pagò quelle somme divenne “promissario acquirente”, con l’impegno a saldare il rimanente quando i lavori si fossero chiusi, firmando il rogito e diventando proprietario. Poi arrivò la crisi e anche Palese, sovraesposto nei suoi numerosi investimenti, iniziò il tracollo che l’ha portato a fallire nel 2015, senza terminare definitivamente il condominio (tanto che l’agibilità edilizia non è mai stata rilasciata) nonostante 24 appartamenti fossero – e sono tuttora – abitati.

Anche su input del tribunale di Verbania, i curatori hanno iniziato per i promissari acquirenti una trattativa con Veneto Banca, che vanta un’ipoteca da 6,6 milioni sull’immobile (superiore a quanto si ricaverebbe dal concludere i contratti coprendo la differenza tra prezzo concordato e caparre) mettendo sul piatto la loro proposta: completare i contratti, incassare i soldi, trattenerne il 75% per il fallimento e darne il 25% all’istituto in cambio della cancellazione dell’ipoteca. La stessa identica operazione è stata chiusa con altre banche per situazioni analoghe a Baveno e Genova. In Liguria, addirittura, alcuni accordi sono già stati perfezionati. Veneto Banca, a sua volta in crisi, non ha mai iniziato una trattativa vera e propria e, con la messa in liquidazione, il muro s’è alzato definitivamente fino a pochi giorni fa, quando il “no” è stato definitivo e inappellabile. A questo punto – come hanno spiegato i curatori – la strada tracciata, salvo ripensamenti o interventi esterni, è quella della vendita all’asta degli alloggi, con la beffa dei promissari acquirenti di finire sloggiati avendo perso i soldi versati che non rivedranno mai, diluiti nei 200 milioni di debiti contratti dalle società del costruttore.

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