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VERBANIA - 15-11-2022 -- Nessun colpevole, nessuna responsabilità. Si chiude con cinque assoluzioni -per un sesto imputato, nel frattempo deceduto, è stato dichiarato il non doversi procedere per l’estinzione del reato- il processo Montefibre quater per le morti e le malattie professionali legate all’amianto contratte da chi lavorò nel polo chimico verbanese dagli anni ‘50 al 1983. Sono ormai più di sedici anni che il sostituto procuratore Nicola Mezzina porta avanti il teorema secondo cui i dirigenti della fabbrica chimica di viale Azari conoscevano i rischi ai quali erano sottoposti i lavoratori esposti all’amianto (che all’ex Rhodia era dappertutto: nei macchinari, nei tubi, nelle coibentazioni) e, ignorandoli e non adottando alcuna cautela, causarono malattie -e morti- per asbestosi, mesotelioma della pleura, tumori ai polmoni e placche pleuriche. Con l’appoggio del sindacato Cgil e di associazioni come Medicina democratica e Aiea (Associazione italiana esposti amianto), ricevute le denunce dei malati o degli eredi degli operai defunti, ha imbastito una serie di processi, non ancora terminata, di cui il quater è l’ultimo in ordine di tempo ad arrivare a una sentenza di primo grado. Che, analogamente a quelle precedenti, è favorevole agli imputati. Dei quattordici manager individuati quali preposti che, nel corso degli anni, si sono susseguiti ai vertici dello stabilimento, ne sono rimasti in vita più cinque. Il più giovane, Gianluigi Poletti, ha 83 anni, il più vecchio, Bruno Quaglieri, 95. In mezzo ci sono Luigi Ceriani, Giorgio Mazzanti e Carlo Vannini. Luciana Varalda è deceduto nel 2020, due anni dopo che il procedimento era iniziato, imputati di omicidio colposo e lesioni colpose plurime e delle violazioni delle norme di sicurezza sul lavoro. Dall’altra parte i malati e i parenti di ventidue ex operai, tra cui una donna, tutti costituiti parte civile. Il gup Beatrice Alesci aveva disposto il rinvio a giudizio nel febbraio del 2018. Dinanzi al giudice Donatella Banci Buonamici, in due anni e mezzo e una trentina di udienze, sono state ricostruite le abitudini lavorative e le mansioni degli operai, i protocolli di sicurezza e i sistemi di protezione. Esperti medici hanno illustrato il rapporto tra esposizione all’amianto e malattia, confutati dai periti delle difese. Ieri il pm Nicola Mezzina, che per ciascun imputato aveva chiesto la condanna a 8 anni, ha replicato alle difese. Nel tardo pomeriggio il giudice ha letto la sentenza che assolve gli imputati, per alcuni capi perché il fatto non sussiste, per altri per non averlo commesso.

 


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