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VERBANIA - 17-04-2021 -- Dietro a quelle minacce ci sono maltrattamenti, violenze e aggressioni agli ospiti che la direzione dell’istituto conosce. Sono gravi e pesanti le accuse che un ex operatore socio-sanitario di un'importante struttura socio-assistenziale di Verbania ha raccontato al Tribunale. Cinquantatré anni, lombardo, nel 2018 ebbe un contratto a tempo determinato interrotto prima della scadenza, e fu assegnato a un reparto in cui sono ricoverati disabili gravi.

Tra i motivi del suo allontanamento ritiene vi sia stata una lite con una dipendente di lunga data dell'ente avvenuta nel luglio del 2018 e a seguito della quale ha sporto denuncia.

Minaccia è il reato che la Procura contesta alla Oss, una donna di 58 anni di Verbania che, al cambio di turno tra la notte e il mattino, gli avrebbe detto che, oltre a fargli perdere il posto di lavoro, l’avrebbe fatto andare in galera facendo dire a un’ospite che l’aveva violentata, o l’avrebbe fatto accoltellare da un paziente aggressivo che sapeva istigare: “ti porterò al suicidio se continui a lavorare qui, anche perché ho già chi deve lavorare qui al posto tuo”.

L’ex dipendente s’è costituito parte civile nel procedimento penale contro la Oss aperto davanti al giudice di pace verbanese Silvia Terracciano, chiedendo anche (istanza respinta) che la Fondazione fosse citata come responsabile civile. E, nel testimoniare, ha rincarato la dose raccontando di gravi maltrattamenti, aggressioni e soprusi di cui sarebbero fatti oggetto i pazienti e di fatti che sarebbero noti alla direzione, utilizzando anche il termine lager.

L’episodio della minaccia è stato smentito dall’unica testimone oculare di quell’alterco - almeno della parte finale, un’altra operatrice (che ora ha un altro lavoro) la quale ha smentito d’aver udito le frasi contestate nel capo d’imputazione.

Il processo è stato aggiornato al 3 settembre per sentire l’imputata e per la discussione. Facilmente il procedimento avrà un seguito, o per i gravi fatti di maltrattamenti denunciati dal teste in aula, o -in caso di assoluzione- per la calunnia subita dall’operatrice.

 

 

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