VERBANIA - 11-11-2020 -- Lavoratori e sindacati
da una parte; magistrati e avvocati dall’altra. È lo smart working l’oggetto del contendere in questi giorni al Palazzo di giustizia verbanese, la possibilità per i dipendenti di Tribunale e Procura della Repubblica di ricorrere alle forme di “lavoro agile” previste dagli ultimi Dpcm anti-Covid-19. In 20 (16 su 40 del Tribunale, tra sezione civile e penale; e 4 su 15 della Procura), facendo leva sulle norme di contenimento dell’epidemia, hanno presentato formale domanda. Il presidente del Tribunale Luigi Montefusco e il Procuratore capo Olimpia Bossi, valutato il carico di lavoro dei rispettivi uffici e delle singole figure, gli organici ridotti, la necessità di garantire l’operatività e i risultati -con un arretrato soprattutto nel penale- dello smart working del primo lockdown, hanno respinto tutte le richieste con un provvedimento motivato. Poiché al momento l’attività giudiziaria -a differenza di marzo, aprile e maggio- non è sospesa, i magistrati che dirigono gli uffici hanno ritenuto che, a meno di non cancellare le udienze e ridurre l’attività, non è possibile fare a meno di alcuna unità di personale.
A fronte di queste comunicazioni, il sindacato Confsal-Unsa ha inviato una diffida -trasmessa per conoscenza alla Procura della Repubblica di Milano- a Bossi e Montefusco, invitandoli a disporre lo smart working. A questa posizione s’è allineata, sotto forma di richiesta a rivedere la decisione, la Cisl-Fp del Piemonte Orientale.
Sul punto, però, in favore dei magistrati s’è schierato l’Ordine degli avvocati di Verbania, che, con un documento firmato dal Consiglio, esprime “solidarietà” al presidente del Tribunale e al Procuratore capo e auspica che la diffida venga revocata.