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VERBANIA – 11.12.2018 – Il 5 novembre scorso pubblicammo

l’articolo “Veleni dopo la denuncia della collega: in sei a giudizio per diffamazione” che dà conto di un procedimento penale pendente dal Giudice di Pace di Verbania in parte collegato ai fatti che hanno portato al processo dei cosiddetti “furbetti del cartellino”. Relativamente a quell’articolo pubblichiamo, ai sensi della Legge sulla stampa la precisazione del legale degli imputati.

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Si sono rivolti a questo studio i signori Gagliardi Delia, Bacchetta Maria Grazia, Caretti Dino, Galli Viviana, Sana Daniela, Rossi Marilena i quali, con riferimento all’articolo datato 5.11.2018 apparso sul Vs. quotidiano relativo al processo penale per truffa relativo alla timbratura di cartellini da parte di dipendenti della Regione Piemonte, e con specifico riguardo a quella parte in cui si narra che l’impiegata (di seguito breviter “la Collega denunciante”) che ha sporto denuncia alla Guardia di Finanza contro alcuni colleghi facendo scattare l’indagine, ha riferito in giudizio alcuni episodi (che, n.d.a., poco hanno a che vedere con l’oggetto del processo se non a livello di sfogo personale, e da Voi riferiti nei seguenti termini: “Uno di questi è la lettera, spedita nel marzo del 2015 agli uffici centrali della Regione, in cui sette colleghi e un’addetta alle pulizie misero per iscritto, nero su bianco, alcune considerazioni ritenute diffamatorie. Scrissero che si sentivano osservati, spiati anche col binocolo dagli uffici del piano rialzato, che al rientro in ufficio trovavano scrivanie e cassetti spostati, e che erano stati canzonati e dileggiati, anche minacciati e provocati, dalla collega. Per quella lettera sono a giudizio Marilena Rossi (l’unica non dipendente della Regione), Viviana Galli, Gian Carlo Gesualdo e cinque degli imputati del processo: Maria Grazia Bacchetta, Delia Gagliardi, Daniela Sana, Dino Caretti e Claudio Suman. Nella prima udienza è stato chiesto un rinvio per approfondire la possibilità che con Grattarola, costituita parte civile, si possa trovare un accordo per il risarcimento e la remissione della querela”,

desiderano puntualizzare per mio tramite quanto segue:

con reclamo indirizzato agli organi della Regione Piemonte i miei assistiti, tra i quali va annoverata la signora Marilena Rossi, addetta alle pulizie, socia lavoratrice di una Cooperativa esterna, che non è dipendente della Regione e che (anche per questo, ovviamente) non è mai stata indagata nel processo in corso per truffa, la quale ha sottoscritto il citato reclamo (anche) per conferma dei fatti, ai quali ha assistito, e che pertanto nulla ha a che fare con la vicenda dei cartellini, hanno né più né meno inteso esercitare un diritto riconosciuto dall’ordinamento nazionale e regionale.

Giova infatti premettere che con D.G.R. n. 47-9622 del 9.6.2003 la regione Piemonte ha adottato il “Codice di condotta” relativo ai provvedimenti da assumere nella lotta contro le molestie e la violenza psicologica sui luoghi di lavoro (cfr. art. 5 il quale prevede l’istituzione della figura di “Consulente di fiducia”).

L’art. 3 del menzionato Codice di condotta, nel trattare della “Violenza psicologica” qualifica come tale, fra gli altri, a titolo esemplificativo, “d) gli atteggiamenti aggressivi, insolenti, derisori …” ecc.

I miei assistiti hanno chiesto l’intervento del suddetto Consulente di fiducia e del responsabile regionale chiedendo di “intraprendere attraverso gli strumenti di cui la Regione è dotata (e quindi – N.D.A. – attraverso strumenti legali codificati) l’azione più consona e opportuna per risolvere la questione”.

Cass. pen. sez. 5, sentenza n. 23579 del 17/2/2014 ha peraltro statuito che “Giova innanzitutto richiamare il principio affermato da questa Corte (Sez. 5^, n. 13549 del 20.2.2008), secondo cui nella presentazione di un esposto, con il quale si richieda l’intervento dell’autorità amministrativa su fatto del dipendente “ritenuto” contrario alla deontologia, anche se nel comunicato vengono usate espressioni oggettivamente aspre e polemiche, non è configurabile il delitto di diffamazione. Infatti nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, il diritto di critica (art. 21 Cost.) e quello alla dignità personale (art. 2 e 3 Cost.), occorre dare la prevalenza alla libertà di parola, senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi ( Sez. 6, n 11842 del 24/04/1978)

Per quanto concerne, poi, il requisito della continenza, va premesso che esso deve consistere nell’argumentum ad nomine, ossia nella condotta dell’agendte che trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione e solo intesi a screditare l’avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez 5^, n. 13549 del 20.2.2008). orbene, nel caso in esame, tale situazione non si è verificata, posto che i riferimenti ai “comportamenti meschini” ed al ripristino di comportamenti “corretti ed onesti”, che in sé possono avere, come detto, portata lesiva, non appaiono senz’altro gratuiti, siccome utilizzati nella prospettiva di argomentare e sollecitare una richiesta di intervento per porre rimedio … Tali espressioni, infatti, non miravano a censurare la persona del …, in sé e per sé considerata, quanto piuttosto la sua condotta quale … Ben possono, dunque, tali espressioni farsi rientrare nel diritto … di censurare … e di chiedere pertanto un intervento degli organi sovraordinati al fine di rimediare alla situazione … venutasi a creare”.

Venuta a conoscenza del reclamo, anche perché gli organi regionali hanno successivamente svolto in Verbania le opportune verifiche ed incontro con i soggetti richiedenti l’intervento, la Collega denunciante ha presentato, anche contro la Sig.ra Rossi Marilena per fatti del tutto personali, che peraltro la Procura non ha tenuto in considerazione, una querela per diffamazione articolata in ben otto pagine, elencando tutta una serie di comportamenti tenuti o anche solo sospettati e ipotizzati a carico dei miei assistiti, che difendo nel procedimento per diffamazione.

Di tutti questi comportamenti descritti dalla Collega il Pubblico Ministero ha ritenuto penalmente rilevanti soltranto 8 righe di narrativa del reclamo e precisamente quelle con le quali i reclamanti (i dipendenti della Regione) lamentavano come la Collega evidenziasse (a carico dei dipendenti regionali) del procedimento penale in corso per truffa e rappresentasse loro le possibili conseguenze di una condanna.

Per quanto riguarda invece la signora Rossi Marilena nulla le viene imputato nel capo d’accusa (ed essa risulta coinvolta – forse – per il solo fatto di aver sottoscritto anch’essa il reclamo) né del resto può essere diversamente, non essendo essa imputata nel processo per truffa a carico degli altri, né avendo la querelante ipotizzao alcunché di concretamente perseguibile penalmente a carico della Rossi.

Il correlativo capo d’imputazione riporta la semplice trascrizione dei comportamenti lamentati dai dipendenti regionali (esclusa quindi la Rossi), addebitati nel reclamo del febbraio 2015, che oggettivamente non sono offensivi per alcuno: i reclamanti scrivono infatti che la Collega denunciante avrebe prospettato loro (ma non alla Rossi, come detto estranea) le conseguenze del procedimento penale e della possibile condanna, ma tale minaccia all’evidenza non è una minaccia ingiusta proveniente dalla Collega, in quanto è la prospettazione di un evento proveniente dall’Autorità Giudiziaria, ossia da un soggetto terzo, e per di più non ingiusto ma giusto per definizione, posto che l’autorità giudiziaria è preposta a rendere giustizia: pertanto il fatto che la Collega abbia rapprsentato loro, ancorché con modalità non benevole o piacevoli, tali conseguenze infauste non può ledere in alcun modo la reputazione (bene protetto dalla norma) della Collega: il fatto di sorridere delle possibili disgrazie gudiziarie altrui non getta alcune luce negativa sulla personalità di chi pronuncia tali esternazioni, semmai su chi le ha subite.

Dunque la reputazione della Collega non è mai stata messa in gioco. Non si vede dunque in quale sentimento essa possa essersi sentita offesa.

Lo scritto incriminato inoltre, rispettando il principio di continenza, non trasmoda in aggressione in quanto non v’è in esso traccia alcuna di denigrazione (epiteti ingiurosi o altro) idonea a screditare la predetta mediante la evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, ma si limita a criticarne le azioni e rientra pertanto nell’esercizio del diritto di critica (oltre che di difesa in ambito amministrativo) che trova fondamento nell’art. 51 cod. penale e tutela nell’art. 21 Cost.

Tale causa di giustificazione è stata pacificamente ritenuta prevalente rispetto al bene della dignità personale considerato che senza la libertà di espressione e di critica la dialettica democratica non può realizzarsi (Cass. sez. 5 n. 13549 del 20.02.2008, e recentemente Cass. sez, 5 n. 39486/2018).

Lo scritto è rivolto non a soggetti privati qualsiasi, a scopo di gratuita propalazione, bensì al Responsabile del personale e ad un Ente preposto istituzionalmente anche alla risoluzione deic conflitti interni del personale, allo scopo preciso di provocarne l’intervento dirimente.

I miei assistiti ritengono poi del tutto irrilevante ai fini del procedimento per la c.d. “truffa del cartellino”, nonché sconveniente, che la Collega denunciante sia andata a riferire in giudizio avente rilevanza publica per reati contro la Pubblica Amministrazione altri fatti che non hanno diretta attinenza con esso e che invece la riguardano personalmente talché sul punto si riservano ogni opportuna iniziativa.

Ed infine debbo precisare che il Giudice di Pace ha rinviato il procedimento solo per tentare la conciliazione delle parti (in qanto colleghi di lavoro), senza affatto ipotizzare un accordo per un risarcimento a favore della querelante.

Avv. Roberto Bertolo

 

 

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